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Il Mediterraneo che forse ci unisce ancora

Il Mediterraneo: unisce popoli con tradizioni culinarie, influenze storiche e nuove tendenze alimentari come halal, kosher e zero alcool.

Marco Negro
Il Mediterraneo che forse ci unisce ancora

Analizzare la storia dell’alimentazione ci riporta ai numerosi punti di contatto tra i popoli e le nazioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo. Oggi sono mercati che viaggiano a velocità diverse, pur se con un passato comune che potrebbe unire, a partire dalla tavola.
I Romani usavano l’espressione “mare internum” per indicare che, comunque lo si navigasse, il bacino marino su cui si affacciava era circoscritto dalla loro potenza. Fino al II secolo a.C. i popoli latini non erano mai stati degli abili naviganti. La marineria militare dei Romani fece il salto di qualità quando divenne uno strumento militare, con l’obiettivo di sconfiggere i Cartaginesi.
L’annessione dei nuovi territori nord-africani e delle grandi isole portò all’espressione “mare nostrum”, con cui si affermava il possesso delle terre bagnate dallo stesso mare. Le strategie geopolitiche dell’Impero Romano influenzarono la storia dell’alimentazione: la stessa potenza possedeva le fertili terre d’Egitto e il controllo militare delle rotte commerciali di mare.
Il pane era così garantito alle grandi città romane e le esportazioni di derrate alimentari, tra cui olio e vino, garantivano cospicui proventi alle casse dello stato. Mentre l’Europa centrale attraversava il complicato Medioevo, le terre affacciate sul “mare internum” vivevano il periodo della illuminata gestione araba. La storia dell’alimentazione europea conobbe in quei secoli l’utilizzo del miele e la nascita di una antesignana pasticceria, le tecniche di distillazione dell’alcool e i sorbetti, cioè la raffinata aromatizzazione della neve.
I popoli mediterranei si scambiano ingredienti; le loro ricette sono sempre state l’innesto di elementi nuovi sulla gastronomia locale. Con il colonialismo, le tradizioni gastronomiche di molte nazioni affacciate sul “mare nostrum” si sono arricchite di nuovi elementi. Ad esempio, con la globalizzazione, la grande distribuzione organizzata francese ha esteso i suoi tentacoli, portando le colorate merendine prodotte dalle multinazionali e la pasta italiana fino ai confini del deserto sahariano.

La dieta mediterranea e i mercati allargati

Spesso parliamo con orgoglio del regime alimentare italiano. Forse non tutti sanno che la definizione “dieta mediterranea” è un modello nutrizionale studiato dal biologo americano Ancel Keys negli anni Cinquanta. Egli era convinto che i bassi livelli di colesterolo nel sangue, riscontrati nei suoi viaggi sulle sponde del Mediterraneo, fossero da associare alla dieta locale. Certo, mangiare molte verdure, preferire l’olio di oliva e poche carni rosse sono sani consigli nutrizionali. Ma la situazione che incontrò Ancel Keys nei suoi viaggi era quella del dopoguerra nel Sud dell’Italia e nelle isole greche: era la povertà a imporre alle famiglie medie una dieta ricca di verdure coltivate nell’orto di casa dove non c’erano soldi per acquistare carne.
Alla base della famosa piramide di questo modello troviamo elementi che accomunano le nazioni mediterranee. Nello stesso tempo, però, le singole identità sono ben radicate e distintive. Il pane, per esempio cambia nomi, forme e tecniche: la pita greca, la fougasse provenzale, il tabouna tunisino, la panella lucana. Lo stesso dicasi per le verdure fresche e i frutti di stagione; così differenti al variare delle latitudini e del clima. Allo stesso modo potremmo continuare con i condimenti, i vini, i formaggi e i latticini freschi.
Le grandi catene francesi e tedesche sono presenti da decine di anni in tutti i mercati europei, mediorientali e nordafricani: dagli enormi Iper ai negozi di quartiere, ormai tutti affiliati degli stessi marchi. Eppure, il modello alimentare si è salvato dall’omologazione e dall’appiattimento.

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Il concetto di patria mediterranea

Approfondiamo il tema con il giornalista e scrittore tunisino Soufiane Ben Farhat. Conveniamo insieme che siano state le vicende politiche ad aver creato le frontiere, dividendo i popoli. Soufiane chiosa: “Apparteniamo tutti alla civiltà mediterranea. Dalla Siria alla Spagna, dalla Liguria al Nord Africa quando ci mettiamo a tavola abbiamo così tante cose in comune! Certo, voi italiani avete sviluppato più di tutti la centralità del cibo come elemento di identità nazionale. La cucina italiana è diventata universalmente apprezzata. Andando indietro nei millenni, identifichiamo meglio i quattro pilastri che accomunavano le sponde del “mare nostrum”: l’ulivo, la vite, l’ape e la pecora. Le grandi città portuali di questo mare, nei secoli, hanno sempre ospitato contemporaneamente greci, arabi, genovesi, gitani, ebrei e musulmani. Ciascun popolo contribuiva con i suoi mestieri, le sue arti e le sue ricette al concetto di patria mediterranea”.
La chiacchierata con Soufiane Ben Farhat ci conferma che la modernizzazione ha davvero portato gli stessi marchi di bibite, pasta, dolcetti e birra in tutti i negozietti di quartiere, sia sulle ricche sponde della Costa Azzurra, sia su quelle meno abbienti del Medio Oriente e del Nord Africa.
Tuttavia la globalizzazione non è riuscita a omologare i piatti tradizionali, quelli cucinati dalle mamme di casa. La occidentalizzazione dei consumi ha fatto assorbire alcuni articoli di consumo. Ma c’è stato un limite naturale che ha salvaguardato l’identità culturale: il pane, i latticini, il mercato del pesce, le verdure di prossimità. Questi ingredienti si oppongono all’impoverimento di scelte causato dalle grandi catene.
Conclude Soufiane Ben Farhat: “Il concetto di patria mediterranea non è una illusione. Le persone che vivono attorno alle coste di questo mare interno hanno molte abitudini comuni: la condivisione del cibo, i momenti di convivialità in famiglia e con gli amici, il piacere di trascorrere del tempo tra amici bevendo un caffè. Noi mediterranei siamo gente vivace e gioiosa. Rimaniamo profondamente legati al valore delle tradizioni familiari e questo ci accomuna, al di là delle divisioni dei confini nazionali”.

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Mercati mediterranei incubatori di nuove tendenze

I mercati che si affacciano sul Mediterraneo, con le loro marcate identità e non ancora totalmente “globalizzati”, possono essere addirittura degli incubatori di nuove tendenze. Che dire, per esempio, del cosiddetto settore “alcool zero”? Il divieto religioso al consumo di vino, rispettato da decine di milioni di praticanti, incontra pure le tendenze salutistiche dei consumatori nordamericani e nordeuropei. Una visita alla fiera internazionale Gulf Food, che si tiene con cadenza biennale a Dubai, ci rivela come i grandi marchi vinicoli francesi e spagnoli siano ormai pronti da anni a questo tipo di offerta.
Gli stessi concetti di halal e kosher, ovvero di alimenti preparati secondo le norme di purezza religiosa, rispettivamente della legge islamica e di quella ebraica, hanno trovato inconsapevoli estimatori anche tra chi non professa queste fedi. Entrambe le attestazioni non si accontentano di una semplice autocertificazione del produttore o dei fornitori degli ingredienti, così come avviene per le più comuni filiere: vegano, biologico o organic.
La necessaria separazione delle linee produttive e il più rigido controllo di filiera degli ingredienti e dei confezionamenti rendono il prodotto halal semplicemente più controllato di un prodotto analogo, ma privo di questa certificazione. Similmente, la presenza di un rabbino preparato e conoscitore delle tecnologie alimentari durante le fasi di lavorazione di un prodotto kosher infonde sicurezza in qualsiasi consumatore.
I prodotti certificati halal e kosher risultano così interessanti anche per quei clienti che apprezzano un controllo straordinario di ingredienti e filiere. La scelta di produrre una pasta, una passata di pomodoro o una preparazione alimentare con queste certificazioni aggiuntive può essere una nuova opportunità per alcuni produttori. Un esempio soltanto: il Moscato d’Asti Docg più noto negli Stati Uniti è in realtà un prodotto certificato kosher. Chi lo consuma? Americani di ogni origine ed estrazione, non solo gli ebrei praticanti.
Con la condivisione a tavola, che abbassa l’altezza dei muri e le frontiere, il mare nostrum potrebbe essere davvero più pacifico, più umano e senza linee di confine.

Questo articolo si trova sul quarto numero di Barolo & Co. pubblicato il 20 novembre 2023.

Articolo scritto da Marco Negro
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