Anche in un momento come questo, capita di domandarci quale sia l’immagine che incarni maggiormente la ‘piemontesità’ in una terra ricca di storia, tradizioni e tante cose belle e buone.
La cucina, per quanto regionale, è sempre più spesso reiventata, Gianduja non lo ricorda più nessuno, la Fiat non esiste più, come sono sempre più multinazionali le formazioni e i colori delle maglie delle squadre di calcio torinesi.
Ma il Barbera o la Barbera come preferite…è sempre lì, popolare, simpaticamente conviviale, irriverente, nobilitata.
Il vitigno Barbera ha origine antichissime nell’Astigiano; d’altro canto, la vigna era già segnalata in zona durante la presenza della colonia Romana Hasta Pompeiana all’inizio dell’era cristiana. La storia fantasiosa riconduce la sua etimologia a un succo rosso cerasuolo acidulo e astringente, il ‘vinum berberis’, prodotto con le bacche selvatiche di crespino (Berberis vulgaris), molto in uso in Piemonte nel tardo Medioevo. Secondo altri si potrebbe invece riferire al termine berberus, aggressivo, irruento, come il carattere del nostro vino.
La radici storiche del vitigno
Le prime testimonianze documentali certe risalgono solo al 1500: il vitigno appare citato in un documento catastale del 1512 del Comune di Chieri, mentre un secondo documento del 1609 è custodito presso il Municipio di Nizza Monferrato. Vennero infatti inviati ‘nel Contado di Nizza della Paglia appositi incaricati per assaggiare il vino di questi vigneti e in particolare
“lo vino barbera per servizio di S.A. Serenissima il Duca di Mantova…”.
Gli ampelografi concordano nell’accettare la sua descrizione come Vitis Vinifera Montisferratensis, quindi varietà autoctona. Entra ufficialmente nell’elenco dei vitigni piemontesi nel 1798 nell’ambito del primo volume ampelografico realizzato dalla Società Agraria di Torino. Che si sia in presenza di un “purosangue” piemontese è suffragato anche dagli scritti del Gallesio (1839), come pure che sia autoctono monferrino (come si legge nei trattati ampelografici di Leardi e Demaria del 1873), anche se diffuso in tutto il Piemonte e in molte regioni italiane, nell’Oltrepò Pavese, nei Colli Piacentini, nel Parmense…nel sud Italia e in Sardegna.
La buona resa in mosto e la resistenza alle malattie rispetto ad altre varietà, come pure la sua ‘rusticità’, ne hanno permesso la diffusione in Italia e nel mondo. Il primo lungo viaggio all’estero delle botti di Barbera provenienti da Costigliole e San Marzano Oliveto è narrato nella spedizione a Rio de Janeiro nel 1819 da parte del Marchese Filippo Asinari di San Marzano; il vino, dopo questo estenuante viaggio in piroscafo, giunse “in ottimo stato, con forza singolare, congiunta al profumo e al colore dei vini più vecchie celebrati”.
Venendo ai momenti salienti per il vino astigiano più vicini ai giorni nostri, il Barbera d’Asti ottiene la Doc nel 1970 e la Docg nel 2008; oggi il 30% della superficie vitata Piemontese è coltivata a Barbera. Molto cresciuto nella stima generale perché versatile e declinabile alle varie esigenze di consumo, è pur passato attraverso una storia difficile fatta di crisi e spopolamento delle colline, di sciacallaggio commerciale che ha fatto toccare i minimi storici del suo apprezzamento. Ma indomito come la gente delle sue colline, ha superato anche queste “grandinate” grazie a personaggi robusti nel credo di questa pagana spiritualità come Arturo Bersano prima e Giacomo Bologna nel cuore degli anni Ottanta.
Nizza, il cuore pulsante del Monferrato
Muovendo ancora il nostro ideale caleidoscopio, mettendo a fuoco un’immagine più vicina al nostro sguardo, entriamo nel cuore della zona maggiormente vocata all’allevamento del Barbera. Siamo a Nizza Monferrato, a pochi chilometri da Asti, spesso lessicalmente confusa con la Nizza già sbocco del regno Savoia sul Mediterraneo, francese dopo il discusso accordo di Plombières del 1858 tra Cavour e Napoleone III. Siamo nel cuore di un comprensorio che per i più è il meglio vocato alla coltivazione del Barbera.
Proprio per questo, qui prende nome e vita un vino interessante e di grande prospettiva, il Nizza Docg. Sono passati da poco vent’anni (era il 2000) da quando venne concesso di aggiungere sulle etichette di Barbera d’Asti Doc Superiore (poi Docg nel 2008) la Sottozona Nizza.
In realtà a questa fanno compagnia da allora altre due sorelle, “Tinella” e “Colli Astiani”. La nuova Docg “Nizza”, utilizzabile dall’annata 2014, crea un’ulteriore nuova identità per un vino che recide apparentemente il proprio cordone ombelicale dalla Barbera e inizia a operare su una vera identità di territorio. Sono 18 i Comuni inclusi in quest’area vitata, una zona di grande eccellenza nell’ambito della più vasta zona “barberata” (composta da 169 comuni in Provincia di Asti e 51 in quella di Alessandria). Parliamo in questo caso di nomi noti negli annali vinicoli quali Agliano, Calamandrana, Castel Boglione, Castelnuovo Calcea, Castel Rocchero, Incisa Scapaccino, Mombaruzzo, Mombercelli, Nizza Monferrato, Vaglio Serra, Vinchio, San Marzano Oliveto…, un vero e proprio mosaico di sfaccettature pedomorfologiche e microclimatiche del territorio come ben emerge dalla cartografia fatta redigere dall’Associazione dei Produttori del Nizza.
Il mondo del Nizza
La zona del Nizza Docg è caratterizzata dall’alternarsi di “terre bianche”, ossia terreni calcareo marnosi, “terre rosse” con maggiore presenza di limo e argille, “sabbie astiane”, terreni ricchi di sabbia grigio bruni (destra Tanaro) o rossi (sinistra Tanaro), oltre ai terreni alluvionali del fondovalle. Per nessun vitigno piemontese le differenze pedologiche e microclimatiche possono essere così determinanti nel risultato che troveremo nel calice.
Basti pensare che, nel settore nord della zona (Mombercelli) prevalgono le sabbie e le terre rosse; la vigna qui è più sporadica, il bosco verdeggia e le difficoltà e l’abbandono delle cascine hanno rarefatto le produzioni. I vini sono di struttura più esigua, ma dai profumi fini ed eleganti.
Nel settore est (Mombaruzzo) prevalgono le terre rosse. Il territorio è caratterizzato da un altopiano che gradatamente scende verso l’Alessandrino; il clima è più fresco e i vini presentano meno vigoria rispetto a quelli del settore centrale. Proprio il settore centrale vede la maggior concentrazione di vigneti ed è l’area caratterizzata dalla miglior qualità produttiva. Si sviluppa lungo la direttrice compresa tra Agliano Terme a ponente (dove i vini hanno struttura, vigore e longevità, e spesso necessitano di maturazione più protratta) e Mombaruzzo a levante, passando per Nizza (dove i vini saranno più eleganti e di ottima struttura, adatti all’invecchiamento). Qui prevalgono le marne sabbiose e argille come pure le sabbie; sono colli dai crinali arrotondati di altitudine contenuta, il microclima è più caldo ed è minore l’escursione termica: tutto ciò rende il vino equilibrato, robusto, pur conservando un ottimo profilo olfattivo.
La parte che si affaccia dalla fascia centrale verso nord vede in Vinchio e Vaglio Serra (qui i vini sono di media struttura, fini ed eleganti, con buona propensione all’invecchiamento) gli ultimi avamposti vitati prima di declinare verso le zone più rarefatte. Molto interessante anche il settore sud (Calamandrana, Castel Boglione) dove abbondano le arenarie e i terreni ricchi di calcare, di media fertilità; i profili collinari sono più ripidi e imponenti, alternati da profonde valli e altimetria crescente, fino ai 500 metri. Le vendemmie, solitamente non molto abbondanti, produrranno vini di colorazione media, buona struttura, di pronta beva rispetto alle altre parti della zona, pur con buona gradazione alcolica.
Il vino nel calice
Il vino nel calice dimostra tutto questo, nella sua identità e corrispondenza rispetto al vitigno, ma anche nella ricchezza di sfumature e peculiarità proprie di ogni etichetta che vi capiterà di provare. Nel rispetto delle caratteristiche del vitigno, se ne ricava un vino potente, rotondo, minerale, dal colore rosso rubino intenso tendente al granata, ricco di profumi seducenti (ciliegia, prugna, ma anche spezie), asciutto, sostenuto da buona acidità che le attribuisce una nota fresca e piacevole.
La maturazione del Nizza di 18 mesi, inclusi i 6 in legno, (sono 30 mesi con 12 in legno per la Riserva) regala ulteriore complessità e ricchezza sia olfattiva che gustativa, che vale la pena ‘ascoltare’ con pazienza e attenzione.
Il frutto prezioso del “vigneto Nizza” raccoglie oggi circa 300 etichette ed è caratterizzato da uno sviluppo costante di crescita produttiva e di mercato. Nel 2015 erano stati prodotti poco più di 4 mila ettolitri di vino, che nel 2017 erano già diventati quasi 9 mila.
La forza dei singoli (prevalentemente medio-piccoli produttori, ma anche nomi di rango dell’enologia piemontese che ne irrobustiscono la compagine) si amplifica nell’azione dinamica dell’Associazione Produttori del Nizza (presieduta da Gianni Bertolino, con sede nel settecentesco Palazzo Crova), costituita nel novembre 2002 da 14 produttori, che attualmente sono diventati 67.
Anche il trend di vendite è quello proprio di un prodotto di successo e ha registrato negli ultimi anni l’incremento di oltre il 30 % nelle vendite, con un consolidamento positivo (+ 4%) nel peggior anno durante la pandemia Covid. Sono circa 600 mila (un milione in lavorazione) le bottiglie attualmente prodotte, per oltre il 50% destinate al mercato estero, cui va aggiunta la quota acquistata da turisti stranieri durante la presenza in zona.
I segreti del successo
Il primo carattere di merito disegna il Nizza Docg come vino di grande qualità, destinato a un consumatore attento ed evoluto, un consumatore che ne capisce la struttura ed è disposo ad affrontare una spesa media allo scaffale di circa 22 euro, almeno doppia rispetto a quella di una Barbera d’Asti.
E, poi, il Nizza è un vino versatile, da tutto pasto; se strutturato accompagna bene i secondi piatti di carne, i formaggi, anche quelli dal gusto più marcato, mentre in gioventù sa esaltare tutti i piatti della cucina astigiana, primo tra tutti la bagna caoda, simbolo di ospitalità e convivialità che si consuma intingendo nel caldo intingolo di aglio olio e acciughe le prelibatezze dell’orto, tra le quali non possono mancare il peperone quadrato di Motta di Costigliole ed il cardo gobbo di Nizza.
I salumi, la battuta di fassone, il vitello tonnato, gli agnolotti, il fritto misto, il filetto di fassone, il bollito stimolano la sua poliedrica capacità di abbinamento e così il Nizza Docg appare come un ottimo compagno di tante occasioni piacevoli.
Il 2014, quindi, è stato per questo spicchio di Monferrato un anno strategico, per certi versi fondamentale e di grandi prospettive. È nato il Nizza Docg e in concomitanza l’UNESCO ha riconosciuto queste colline “Patrimonio dell’Umanità”. Un grande prodotto della vigna e della cantina, con una potenzialità addirittura vicina ai 4 milioni di bottiglie, unitamente alla storia e alla cultura contadina qui così radicate, può costituire una grande plusvalenza e cospicui ritorni per l’economia locale.Tutto ciò che finora è stato fatto non è un traguardo, ma solo l’inizio di un percorso, un nuovo tratto di strada, che deve essere basato su una politica di territorio seria e qualificata, capace di valorizzare i luoghi, promuovere le strutture di accoglienza, dedicare attenzione spiccata alla qualità dell’ambiente, un ambiente che vale la pena di scoprire lasciandoci cullare da quelle onde di vigne che si rincorrono collina dopo collina e dalle emozioni che un calice di questo rosso di gran classe sa ogni volta trasmetterci.