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Gastronomia

Negroni, una storia tutta italiana

Scopri la storia del Negroni, dal Caffè Casoni di Firenze al cocktail iconico, tra tradizione, botaniche e l’arte del ‘bere miscelato’.

Marco Negro
Negroni, una storia tutta italiana

I cocktail più noti al mondo hanno luogo e data di nascita ben precisi. Attraverso un percorso di spunti culturali e cenni storici stiamo raccontando le ricette più note, i liquori utilizzati e le tecniche del “bere miscelato”.

Il Negroni ha da poco compiuto cento anni. Ne conosciamo epoca e città di nascita: 1919, Firenze. La narrazione storica, però, non può fare a meno del racconto dei cocktail “Milano-Torino” e “Americano”. Tutti e tre i cocktail si basano sul cosiddetto “Bitter all’uso d’Hollandia”, il liquore alle erbe prodotto dalla Campari già negli anni Sessanta dell’Ottocento.
“Milano-Torino” è la quintessenza del cocktail italiano. Milano, casa e bottega di Gaspare Campari, porta in dote le note amaricanti del Bitter. Torino, città di nascita del Vermouth, contribuisce con le botaniche esotiche e nostrane, ammorbidite dall’infusione nel vino. Difficile dire quando possa essere nato un primo “Milano-Torino”. È molto probabile che Gaspare Campari, appena creato l’elisir nel suo Caffè dell’Amicizia di Novara lo abbia miscelato con uno dei Vermouth torinesi disponibili. Con il trasferimento da Novara a Milano, il Bitter del signor Campari viene servito nel nuovo bar meneghino. Pochi anni e il palazzo che ospita il bar nel centro di Milano deve essere abbattuto per far posto a uno strano edificio, caratterizzato da gallerie articolate a più braccia e una inedita copertura di ferro e vetro. Alla inaugurazione, nel 1867, della Galleria Vittorio Emanuele II, il Caffè Campari si trovò, per caso, nel posto giusto e nel momento giusto: all’interno di uno dei primi centri commerciali del mondo, il cosiddetto “salotto di Milano”.
Il liquore rosso rubino, amaro ma dolce, ebbe presto necessità della realizza zione di un opificio e il Bitter Campari divenne un successo mondiale. Pare che il cocktail “Milano-Torino” piacesse ai tanti visitatori e viaggiatori stranieri della cosmopolita Milano di fine Ottocento. Gli americani chiedevano però una spruzzata di soda, l’acqua estremamente effervescente e dal gusto leggermente sapido che i bartender di tutto il mondo usano per diluire distillati e liquori. Nasceva così il cocktail “Americano”, la versione americana dell’italianissimo duetto “Milano-Torino”. Gaspare Campari inventò un liquore unico, ancora oggi pilastro del “bere miscelato”, un prodotto che non si consuma in purezza. Una ricetta rimasta inalterata per 160 anni e ancora oggi custodita gelosamente.
Di certo sappiamo che si parte da una infusione idroalcolica di erbe amaricanti, bucce di chinotto e corteccia di cascarilla. Il miscuglio delle erbe, però, è noto solo ai pochi che le miscelano in gran segreto. L’estratto alcolico viene poi diluito con acqua e zuccheri per abbassarne il grado alcolico al 25% Vol. e infine tinto con il caratteristico colore rosso rubino. Torniamo alla Firenze del 1919, precisamente entriamo nel Caffè Casoni, in via de’ Tornabuoni.
Qui un aristocratico, gran viaggiatore e amante del bere miscelato, chiedeva di rinforzare il suo “Americano” con una ulteriore parte di gin, il distillato inglese che amava tanto. Il gentiluomo era il conte Camillo Negroni. Era nato il cocktail “Americano alla moda del Conte Negroni”. Una storia tutta italiana per una icona della miscelazione: il “Milano-Torino” basato su Bitter Campari e Vermouth diventa prima “Americano”, con l’aggiunta di acqua soda, infine “Negroni”, con l’aggiunta dell’aroma pungente del distillato di ginepro. La formula attualmente codificata è la seguente:
2 cl di Gin
2 cl di Vermouth Rosso
2 cl di Bitter Campari

La preparazione del Negroni avviene con la tecnica build, il verbo inglese che letteralmente significa “costruire”. Il cocktail viene costruito direttamente nel bicchiere di servizio. Questo va prima raffreddato con dei cubetti di ghiaccio, fatti roteare velocemente con lo stirrer, il cucchiaio dal lunghissimo manico. Scolata l’acqua in eccesso, si aggiungono i cubi di ghiaccio duro e trasparente, quello professionale, che si scioglie lentamente. Infine, si versano gli ingredienti alcolici, misurati con il jigger, esattamente nell’ordine in cui sono codificati: gin, vermouth e infine il bitter.
L’accorgimento si deve al fatto che il gin, tra i tre, è quello meno denso, che aiuterà quindi a diluire il più denso bitter. Lo stirrer viene nuovamente usato per miscelare delicatamente i tre componenti. Il bicchiere che si usa per l’esecuzione del Negroni è un tumbler basso. La decorazione, così come voluto dal barman del Caffè Casoni di Firenze, è una fetta d’arancia, oppure la semplice fettina di buccia d’arancia. Questa icona della mixology rientra nella categoria “pre-dinner”, i cocktail che preparano lo stomaco alla cena. In realtà, ogni sorso di un Negroni è un caleidoscopio di note aromatiche e balsamiche da scoprire a tutte le ore, specialmente in un bar speakeasy, quando la sera matura verso la notte.

I vocaboli del bere miscelato

Jigger

Si tratta del misurino, a forma di clessidra, con il quale i barman misurano velocemente le quantità di liquidi per l’esecuzione di una ricetta codificata. La forma a doppio cono permette di avere da un lato una misura, dall’altra un suo sottomultiplo (ad esempio 6 cl e 3 cl). Ne esistono di innumerevoli versioni. Nei cocktail la giusta dose è indispensabile per la corretta esecuzione.

Tumbler

Il bicchiere ampio e senza stelo, dal caratteristico fondo spesso, si chiama tumbler. Il tumbler basso viene usato per liquori o cocktail on the rocks, cioè serviti con ghiaccio. Esistono pure i cosiddetti “tumbler old fashioned”, dei bicchieri decorati alla maniera di decine di anni fa. In realtà alcuni bartender ci stupiscono con bicchieri autentici, piccoli tesori di modernariato.

Questo articolo si trova nel quarto numero di Barolo & Co. pubblicato il 20 novembre 2022.

Articolo scritto da Marco Negro
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