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La discussione tra tradizionalisti e innovatori

Esplora il dibattito tra tradizionalisti e innovatori nel vino delle Langhe, un percorso di compromesso che ha arricchito la viticoltura.

Isabella Perugini
La discussione tra tradizionalisti e innovatori

Il dibattito tra tradizionalisti e innovatori ha profondamente influenzato la cultura vinicola delle Langhe. Questo confronto non è solo una competizione tra vincitori e vinti, ma rappresenta un processo di compromesso che ha arricchito entrambe le posizioni. Per capire questa dinamica, è utile esaminare le esperienze di alcuni produttori locali.

I Fratelli Negretti, attivi dal 2003 a La Morra, hanno deciso di imbottigliare il proprio vino, contribuendo a un nuovo racconto del vino di Langa. Parallelamente, Enzo Rapalino ha fondato la sua azienda a Treiso, mentre Walter Lodali, terza generazione di una storica cantina, ha continuato a portare avanti la tradizione. Anche Cecilia Monte, dopo un’esperienza presso un’importante cantina, ha creato una sua realtà vinicola, riflettendo la ricchezza del territorio.

La tensione tra modernisti e tradizionalisti è emersa come risposta a una crisi economica del settore, con i prezzi dell’uva in calo. Questo ha spinto i produttori a cercare modelli internazionali, come quello francese e toscano, per competere. I Barolo Boys sono stati pionieri in questo senso, portando innovazione e visibilità alle Langhe, e Walter Lodali sottolinea come questo movimento abbia portato “aria fresca” nella regione.

Un tema centrale del dibattito è l’uso del legno nella vinificazione. I tradizionalisti sostengono l’uso delle botti grandi, che preservano il vino nella sua evoluzione senza alterarne le caratteristiche. Dall’altro lato, gli innovatori si sono concentrati sulle barrique, a volte in modo eccessivo, ponendo il vino in secondo piano durante le degustazioni. Tuttavia, l’esperienza ha portato molti produttori a un approccio più equilibrato. Oggi, si utilizza una combinazione di botti grandi e legni piccoli, a seconda delle specificità dei cru, mantenendo intatta l’autenticità del territorio.

La questione della bevibilità è cruciale. Negli anni ’80, i modernisti hanno compreso l’importanza di offrire vini pronti da bere, rispondendo alle preferenze del mercato americano. Questo ha messo in difficoltà i tradizionalisti, che richiedevano tempi di affinamento più lunghi. Tuttavia, le nuove tecniche di gestione dei vigneti, come il diradamento e l’adozione di sesti di impianto più ravvicinati, hanno migliorato la qualità dell’uva, favorendo un ritorno a pratiche più consapevoli.

In conclusione, il confronto tra ribellione e rivoluzione ha contribuito a un’evoluzione significativa nel panorama vinicolo delle Langhe. Oggi, i vini come Barolo e Barbaresco sono riconoscibili e rappresentano una narrazione autentica del territorio, con una forte identità che li distingue a livello globale. Questo risultato è frutto di un processo di apprendimento reciproco tra tradizionalisti e modernisti, culminando in una storia vinicola ricca e variegata.

Articolo scritto da Isabella Perugini
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