Si fa presto a dire birra, ma in realtà c’è un mare sotto la schiuma in un bicchiere.
Il comparto italiano della birra artigianale (non pastorizzata né microfiltrata) ha dimostrato una vitalità sorprendente nel Nuovo millennio, con ondate di accelerazione negli ultimi anni, al punto da attirare attenzione da più parti. Fino a suonare la sveglia a colossi dell’industria birraria, mondo che per volumi e standardizzazione aveva snobbato quella nuova onda, mentre oggi la rincorre: birra cruda, esaltazione dei luppoli, esperimenti ispirati a localismo e tipicità, tanta italianità in etichetta. Segnali del fatto che Golia ha imparato da Davide, strategie per non rimanere ai margini di un processo di cambiamento che non si è rivelato semplicemente una “moda”.
Protagonisti di questa “beer (r)evolution” sono tanti piccoli e micro-produttori, portabandiera di un mondo artigianale indipendente che con un ingrediente unico e irripetibile come la passione hanno dato e continuano a dare un eccezionale contributo di innovazione, scrivendo pagine di una nuova cultura brassicola.
E senza far mancare un pizzico di fantasia, come dimostrano scelte di naming che passano attraverso il dialetto e altri richiami, insieme al marketing che si concretizza in collaborazioni, iniziative e reti sul territorio.
Stili e gusti in evoluzione
“La vera rivoluzione è quella di una birra 100% italiana, prodotta da materie prime esclusivamente made in Italy e questo significa creare una filiera agricola completa, dai malti ai luppoli e poi con tutte le sfumature di territorio. La creatività è un forte impulso, l’impronta personale del produttore (anche ‘micro’) è fondamentale, come pure l’evoluzione degli stili e dei gusti, ma per compiere una rivoluzione che va oltre serve la filiera. Fino a qualche anno fa tutto questo era impossibile, mentre oggi si sta concretizzando e cresce in un movimento sempre più forte, anche in territori dove nulla di tutto ciò esisteva”.
Parola del patron di Baladin Teo Musso, che da oltre trent’anni è il guru della birra artigianale in Italia e oggi guida il Consorzio Birra Italiana, nato con il sostegno di Coldiretti per promuovere la materia prima nazionale; conta circa un quarto della birra artigianale prodotta, la metà del malto e due terzi delle coltivazioni di luppoli nel nostro Paese e punta all’obiettivo di certificare “birra artigianale da filiera agricola italiana”.
Nel segno della contaminazione
Un rapido giro d’Italia è sufficiente per intuire quanto fermento ci sia nel pianeta birra, con aromatizzazioni che esaltano le personalizzazioni e le rifiniture di gusto, nel segno della contaminazione e della territorialità.
Oltre a una birra “collaborativa” brassata nel luglio 2022 – partendo da nove cereali e undici aromatizzanti da venti regioni – o a casi di “filiera chiusa” come quella toscana di Radical Brewery, sono tante le curiosità da scoprire tra i birrifici associati al Consorzio Birra Italiana, realizzate con ingredienti unici: il radicchio per San Gabriel nel trevigiano, la melassa di fichi del Cilento per il Birrificio dell’Aspide, le foglie di olivo per Alta Quota, i malti affumicati negli essiccatoi delle castagne con Altavia.
E poi ancora, dal casertano Karma con ‘Na tazzulella ‘e cafè, i Mastri birrai umbri con il grano Senatore Cappelli o con l’aggiunta di mosto di Sagrantino, dalla Sicilia Bruno Ribadi con birre in cui ritrovare uva passa di Pantelleria e carruba, bacche di sommacco e pepe rosa, grani antichi e scorze d’agrumi, fichi secchi e miele, cioccolato di Modica, il buccellato (dolce natalizio palermitano).
In bottiglie e lattine Baladin, poi, si ritrovano anche ingredienti come zucca, nocciola Tonda Gentile, miele, ciliegie e susine, e così via, senza dimenticare “barley wine” come le Xyauyù e altre idee continuamente in pentola (ad esempio, la nuova zero alcool).
Varietà anche sotto il segno del Consorzio Birre Piemonte, promosso dalla CIA (Agricoltori Italiani di Alessandria), che ha ottenuto l’inserimento della bevanda tra i Prodotti agroalimentari tipici del Piemonte e punta a nuovi riconoscimenti.
Ne è presidente Diego Botta, che con il birrificio Kauss ha in catalogo Nagoj, 100% piemontese; 3841 (l’altezza del Monviso) con segale alpina; Servaja, con castagne della valle Varaita; Pignoletta, da un’antica varietà di mais.
Altre curiosità dalla terra cuneese, in ordine sparso, sono Bodi Beer, che ha rappresentato una delle primissime esperienze al mondo di birra prodotta a partire dalle patate, in particolare di montagna; Milky Daisy, bianca con vaniglia e siero di latte di bufala dall’azienda agricola Moris di Caraglio; Bra Beer, senza glutine, prodotta con riso Carnaroli dalle risaie braidesi; Beer Frola, aromatizzata con la pregiata fragola coltivata nella zona pedemontana di Peveragno.
Dalla Granda, terra di sorgenti (storicamente, una condizione infrastrutturale per la creazione di birrifici), solca i mari del mondo un’altra idea da bere: l’avveniristica nave da crociera Msc World Europa ospita al proprio interno il birrificio “Oceanic Brewery” progettato da Teo Musso, con tre ricette esclusive, prodotte utilizzando acqua di mare desalinizzata.
Tra birra e vino
Tra gli incontri di gusto c’è anche il matrimonio tra la birra e il vino, con il mondo Iga (Italian grape ale) che supera antiche contrapposizioni e presenta forti potenzialità.
Tra le varie esperienze, una si prepara a unire Barbaresco e Calamandrana, dove al birrificio Sagrin si sta lavorando sul mosto delle uve Nebbiolo coltivate da Danilo Quazzolo, giovane produttore che ha voluto alimentare la vena artistica nel segno della contaminazione e da anni puntava a concretizzare questa idea. Ha trovato un compagno di viaggio in Matteo Billia, mastro birraio della pluripremiata azienda astigiana che da tempo ha messo le Iga al centro della propria ricerca: in autunno Nebbia andrà a unirsi a Roè (Arneis), Monfrà (Barbera) e Samos (Moscato). Quest’ultima è in piena evoluzione: la terza generazione nasce nel ritorno a un vecchio “chiodo fisso” di Billia, ovvero usare lieviti da vino anche per la birra, con esiti più secchi che rasentano il brut (e infatti aprono la strada alle Brut Iga). “Credo molto nelle Iga e con questo lavoro sui lieviti sto puntando a chiudere un cerchio, per completare l’evoluzione con procedimenti che possono portare a risultati importanti, nell’equilibrio tra birra e mosto. È una strada molto interessante per affermare il valore aggiunto del territorio; anche se, più in generale, sull’italianità c’è ancora molto da fare, soprattutto sui malti”.
Circoli virtuosi
Oltre a essere “terra”, la birra è anche “pane liquido”, in una suggestione che può diventare esperienza sorprendente. È il caso di Briciola, la birra nata dalla collaborazione tra Baladin e Associazione autonoma panificatori della provincia di Cuneo, che coordina la raccolta di pane invenduto per destinarlo alle cotte e anche la rete distributiva, le panetterie tradizionali aderenti. Un progetto di economia circolare che unisce la lotta allo spreco ai valori del gusto e all’idea di filiera.
Sempre nel cuneese, filosofia simile per La birra di focaccia, prodotta dagli Antagonisti con la focaccia di Massimiliano Prete, guru di lievitati e pizza gourmet. Lanciato a Torino e attivo sul pane invenduto, ma anche sulla pasta, è il Biova Project, da cui Biova Beer e altri prodotti. Una terra di tradizione vitivinicola come il cuneese si dimostra, quasi inaspettatamente, una delle aree brassicole di riferimento, in una geografia della birra che comunque continua a crescere e a presentare esperienze particolari, in un puzzle variegato e davvero ricco.
Un mondo che mette insieme (binomio abusato, ma qui frizzante e creativo) tradizione e innovazione, che significa sperimentazione e contaminazione, dal rispetto di alcuni fondamentali alla capacità e alla creatività per reinterpretare e ricreare, contribuendo così a far crescere tutto un settore, aprendo anche alla ricchezza dei territori e dei prodotti tipici.
Insomma, oltre la schiuma c’è di più. Di tutto e di più.