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Gastronomia

Il Martinez, il fascino degli anni Trenta

Scopri la storia dei cocktail più famosi, la tecnica del "bere miscelato" e le origini di leggendari drink come il Martinez.

Marco Negro
Il Martinez, il fascino degli anni Trenta

Attraverso un percorso ricco di spunti culturali e cenni storici racconteremo i più noti cocktail, i distillati utilizzati e qualche tecnica del “bere miscelato”.

Che si tratti di ordinare un cocktail al lounge bar di un Grand Hotel, oppure di entrare in un nascosto e misterioso speakeasy bar, l’esperienza è sempre piena di fascino. I cocktail più noti al mondo hanno luogo e data di nascita ben precisi. Solo per citarne alcuni: il Manhattan nasce nel 1874 in un Club newyorkese, il Negroni nel 1920 nel fiorentino Caffè Casoni e il Mimoza al Ritz di Parigi nel 1925. A proposito di storia: il primo barman che rese la sua professione un’arte codificata fu Jerry Thomas.
Con lui la miscelazione divenne spettacolo e intrattenimento, facendo sempre il pieno nei suoi locali, nella Manhattan di fine Ottocento.
Conosciuto come “il professore”, fu lui per primo a sentire la necessità di scrivere le ricette per tramandarle, pub blicando nel 1862 la prima guida per barman. Inaugurò un filone editoriale innovativo, ancora oggi ricco di diverse edizioni europee e nordamericane.
Si dice che fosse proprio Jerry Thomas a unire in una prima ricetta il vermouth al gin. Erano le origini del mito: il cocktail Martinez. Seguirono diverse rielaborazioni e passaggi, fino alla ricetta definitiva pubblicata nel 1930 da Harry Craddock, il barman del leggendario American Bar, al Savoy Hotel di Londra. Da quelle atmosfere eleganti e glamour dell’alta società degli anni Trenta fino all’epoca dei social network il cocktail Martinez è rimasto lo stesso:

4,5 cl di Old Tom Gin
4,5 cl di Vermouth Rosso
1 cucchiaino di Maraschino
2 gocce di Angostura

Si tratta di un “after dinner”. Vengono così chiamati quei cocktail in cui i distillati e le componenti botaniche utilizzati possono avere funzione digestiva. Si tratta di miscelazioni che mantengono in equilibrio i diversi superalcolici con assoluta eleganza. L’armonia e la morbidezza di questo cocktail lo fanno preferire per un consumo serale, dopocena appunto. Un cocktail come questo descritto equivale in alcol anidro (la misura dell’alcol assoluto) a due bicchieri di un modesto vino rosso.
Nella coppetta si può presentare ambrato, oppure più tendente al caramello, a seconda delle tonalità e dell’intensità del colore del vermouth rosso utilizzato. Il gusto del cocktail Martinez è molto affascinante, le diverse componenti si svelano a poco a poco. Il primo sorso rivela il gusto secco e pronunciato del gin, il secondo scalda con il calore delle sensazioni alcoliche, mitigate da una accennata dolce morbidezza.
Altri piccoli sorsi svelano le botaniche caratteristiche del vermouth e del bitter Angostura. Al fine arriva la scoperta di quanto sia persistente il retrogusto etereo del liquore maraschino. Tanta complessità, pur se mantenuta in perfetto equilibrio, si deve ai liquori e ai distillati usati.
La parte più alcolica del Martinez proviene dal gin, che deve ovviamente essere di altissima qualità. Si ottiene dalla distillazione di un fermentato da cereali, in cui sono messe a macerare le coccole del ginepro e molte altre botaniche. Il profumo e il retrogusto di questa conifera spontanea sono più evidenti nei gin prodotti artigianalmente. Per il cocktail Martinez si prevede l’uso di “Old Tom Gin”, una ricetta di distillazione in stile vittoriano, caratterizzata da una maggiore morbidezza rispetto al “London Dry Gin”.
Altro attore comprimario del Martinez è il vermouth rosso; Craddock specificava letteralmente “Italian vermouth”. La storia piemontese di questo vino aromatizzato si è arricchita nel 2017 della protezione della indicazione geografica: il Vermouth di Torino IG. Nel vermouth le vere protagoniste sono le due varietà di Artemisia, che devono essere messe in infusione insieme a varietà botaniche locali e spezie importate.
Tra queste, solo per citare le più utilizzate: maggiorana, origano, anice stellato, scorze di arancio amaro, rabarbaro e noce moscata. La tecnica di esecuzione del cocktail Martinez prevede di mescolare gli ingredienti con un lungo cucchiaio metallico, chiamato stirrer.
Questo è un gesto di attenzione verso le delicate fragranze del vermouth, che non devono essere diluite, come accadrebbe invece se si usasse lo shaker. Infine, due ingredienti di cui sono previste poche gocce. La caratteristica boccetta di Angostura appartiene alla categoria dei bitter; è “il bitter” per eccellenza, essendo presente sul bancone di ogni barman. Nasce dall’infusione alcolica di legni e spezie. Il bilanciamento finale del Martinez si basa anche su queste poche note amaricanti e tanniche. Il liquore maraschino si ottiene invece con una tecnica complessa di affinamento del sugo di marasche, la sua successiva distillazione e un affinamento in legno del distillato. Quest’ultimo contribuisce in modo importante alle sensazioni vellutate e avvolgenti che si ritrovano in questo cocktail ed è anche responsabile del retrogusto persistente dopo l’ultimo sorso.
Pochi centilitri di superalcolici, se prodotti con erbe di qualità e finissimi distillati, riescono a miscelare storia e cultura al buon gusto. L’impressione è quella di vivere un’esperienza nel fascino senza tempo degli anni Trenta.

I vocaboli del bere miscelato

Barman

Sono i professionisti dei cocktail, da quelli storici alle rivisitazioni. Nei loro piccoli cocktail bar riescono sempre a stabilire un cortese e empatico rapporto personale con i clienti. Dedicano grande attenzione alla qualità degli ingredienti e alla presentazione.

Speak-easy bar

Sono gli eredi dei bar illegali durante il Proibizionismo, negli anni Venti del ’900. Oggi in angoli riservati, scoperti tramite il passaparola, offrono rilassanti atmosfere vintage e la possibilità di conoscere il mondo della miscelazione.

Questo articolo si trova sul primo numero di Barolo & Co. pubblicato il 21 marzo 2022.

Articolo scritto da Marco Negro
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