I cocktail più noti al mondo hanno luogo e data di nascita ben precisi. Attraverso un percorso di spunti culturali e cenni storici stiamo raccontando le ricette più note, i superalcolici utilizzati e le tecniche del “bere miscelato”.
Il racconto del “Dry Martini” parte da una immagine mentale, l’iconico bicchiere che chiunque con una matita può abbozzare: un triangolo capovolto, con lo stelo e un’oliva all’interno. Perché si chiama Martini? C’è chi sostiene si tratti di una evoluzione del Martinez. Altri attribuiscono la preparazione a un barman di Arma di Taggia, che nel 1912 lo preparò al bar del Knickerbocker Hotel di New York.
Di certo c’è che nel 1884 il barman O. H. Byron appuntò nella sua “The bartenders’ guide” una ricetta che prevedeva parti uguali di gin e vermouth. Nel 1904 Frank Newman, nella sua guida “American Bar”, co dificava alla ricetta nr 192 il “Martini Cocktail”: “gin et vermouth Turin, quantités égales”, raccomandandone la finitura con una scorza di limone, una ciliegia o un’oliva, a seconda del gusto dell’avventore. L’azienda italiana di vermouth “Martini e Rossi” era in quegli anni nel bel mezzo di una campagna pubblicitaria europea a supporto della apertura delle succursali estere. Non c’è dubbio che l’omonimia tra il cocktail e il marchio fu un importante veicolo di diffusione per l’azienda di Pessione. Il Dry Martini entrò nella letteratura con Francis Scott Fitzgerald. Il personaggio principale del romanzo, Jay, “il grande Gatsby”, ne fa preparare a centinaia nei party lussuosi tenuti nella sua villa di Long Island, a dimostrazione di come questo cocktail fosse icona indiscussa dei “ruggenti anni Venti”, nonostante il proibizionismo. La lista degli estimatori include molti dei carismatici bevitori del Novecento, da Winston Churchill a Franklin Roosvelt, fino al giornalista e scrittore Ernest Hemingway. Questa miscelazione superò anche la “cortina di ferro”, annoverando tra i suoi estimatori pure lo statista sovietico Nikita Chrušcëv.
Icona assoluta, il Dry Martini può essere consumato in qualsiasi momento della giornata, anche se rientra nella categoria “pre-dinner”, i cocktail che sarebbero indicati per preparare lo stomaco e il palato alle prime portate di una cena. Attualmente la ricetta ufficiale prevede:
6 cl di Gin
1 cl di Vermouth Dry, oppure Extra Dry
La preparazione del Dry Martini parte dal raffreddamento con ghiaccio sia del bicchiere (la coppa a triangolo rovesciato), sia del mixing glass, il bicchiere di vetro usato dai barman per raffreddare e miscelare. Segue la tecnica “Stir & Strain” che prevede la miscelazione degli ingredienti alcolici all’interno del mixing glass freddissimo. Mescolare roteando è il modo in cui gli ingredienti si amalgamano, abbassandone la temperatura. Il bicchiere ben freddo evita che il ghiaccio si sciolga, annacquando gin e vermouth. Si procede poi a rimuovere il ghiaccio dalla coppa e a versare il contenuto ben freddo, filtrandolo con lo strainer. Le guarnizioni più usate sono la ben nota oliva oppure la scorzetta di limone che, grazie ai suoi oli essenziali, aggiunge un aroma significativo.
Un cocktail apparentemente facile da preparare: due ingredienti. Eppure, per il barman, le insidie sono moltissime, a partire dall’ordinazione, quando i clienti meno preparati potrebbero confondersi per via della omonimia tra l’iconico cocktail e il noto marchio. Altre trappole per il barman, che magari si distrae con le chiacchiere da bancone: non raffreddare la coppa a sufficienza, oppure mescolare troppo a lungo. Insomma, un classico intramontabile, ma tutt’altro che banale! La teatrale richiesta “agitato, non mescolato” che il personaggio James Bond fa in “Casino Royale” fa parte del personaggio creato da Ian Fleming. Un raffinato agente segreto 007, uomo affascinante e inamovibile nella pretesa di soddisfare i dettagli delle sue abitudini singolari, tra cui quelle di sostituire il gin con la vodka nel Martini e, appunto, chiederne la preparazione nello shaker.
La parte più alcolica della ricetta proviene dal gin, che si ottiene dalla distillazione di un fermentato da cereali, in cui sono messe a macerare le coccole del ginepro e diverse altre botaniche. Il Dry Martini è il cocktail che maggiormente riesce a valorizzare le botanicals nel mondo della mixology. Non solo il profumo e il retrogusto del ginepro, una conifera spontanea europea, ma anche le diverse piante officinali, fiori, semi, bacche, agrumi e spezie messi a macerare nell’alambicco.
L’altro componente è il vino aromatizzato, o vermouth, con ricette diverse che provengono dalle aziende artigianali piemontesi e francesi. Alla base, una infusione delle due varietà principali di Artemisia in un buon vino bianco secco. I produttori utiliz zano molte altre botaniche, sia alpine, sia mediterranee, oltre a bucce di agrumi e spezie importate. Nella legislazione del Vermouth di Torino IG le ricette con contenuto di zucchero inferiore a 30 grammi/litro sono definite “Extra Dry”. Questi sono i vermouth preferiti nel Dry Martini, per il loro apporto di note agrumate e floreali, talvolta leggermente speziate.
Pochi centilitri di superalcolici, prodotti con botanicals di qualità e finissimi distillati, riescono a miscelare la storia e la cultura al buon gusto, facendoci rivivere le atmosfere del secolo scorso.
I vocaboli del bere miscelato
Stir & Strain
All’interno di un bicchiere cilindrico di vetro gli ingredienti vengono miscelati con il cucchiaio dal lungo manico (stirrer) e successivamente filtrati nel bicchiere con lo strainer. È la tecnica che preserva la delicatezza aromatica delle botaniche presenti in gin e vermouth.
Botanicals
Le specie botaniche messe in macerazione, prima della distillazione di un gin. Tra questi le coccole di ginepro, i semi di coriandolo, la radice di angelica, il bulbo di iris, scorze di vari agrumi e altri semi, erbe, radici e bacche che conferiscono una identità propria a ciascun gin.
Questo articolo si trova nel primo numero di Barolo & Co. pubblicato il 21 marzo 2023.
















